mercoledì 1 ottobre 2025

Un appropriazione culturale

Noto con disappunto una nascente e crudele tendenza di persone che fino a ieri sputavano su tutto ciò che era alternativo, appropriarsene semplicemente perché hanno visto qualche personaggio in TV carino. Fino a ieri venivamo perseguitati a scuola dai propri compagni col benestare dei professori, insultati per strada dalla gente ignorante, accusati di essere satanisti, di fare uso di droghe e ora guardateli, pronti a vestirsi alternativi senza sapere nulla di quello che si sta indossando.

Il Goth è musica sopratutto, la sua nascita non è lineare, né semplice. Alcuni lo fanno risalire ai primi lampi del post-punk, quando band come i Bauhaus intonavano Bela Lugosi’s Dead e aprivano scenari sonori mai uditi prima. Altri ne vedono l’essenza nell’incedere magnetico di Siouxsie and the Banshees, o nei canti solenni dei Sisters of Mercy. La verità è che il goth non è nato in un istante preciso, ma come un’eco che si è propagata, sfuggente e inafferrabile, nella musica, ispirata all'arte e alla letteratura.

Più che una data, il goth è una sensibilità che ha preso corpo in quegli anni, un terreno fertile in cui radici diverse hanno intrecciato ombre e visioni. Da lì si è diffuso oltre i confini della musica, trasformandosi in estetica, filosofia, linguaggio dell’anima.

Vestirsi di nero non fa di nessuno un goth: il nero è soltanto la veste visibile di una sensibilità più profonda. Essere goth è avere il coraggio di contemplare la Morte senza tremare, di abbracciare la malinconia senza vergogna, di riconoscere la bellezza anche nell’ombra.

L’estetica è conseguenza, non fondamento. Il nero è un linguaggio, non una moda.

Il goth non è un travestimento, ma un respiro antico che da oltre quarant’anni vibra tra accordi, parole e immagini, e che ancora oggi chiede di essere compreso, non soltanto osservato.

Bauhaus che intonano Bela Lugosi’s Dead, Siouxsie che trasforma la rabbia in incanto, i Sisters of Mercy che scolpiscono inni oscuri. È da lì che tutto comincia. E da lì si espande: nella letteratura, nel cinema, nell’arte, fino a diventare uno stato mentale.

Vestirsi di nero non fa di nessuno un goth: il nero è soltanto la veste visibile di una sensibilità più profonda. Essere goth è avere il coraggio di contemplare la Morte senza tremare, di abbracciare la malinconia senza vergogna, di riconoscere la bellezza anche nell’ombra.

L’estetica è conseguenza, non fondamento. Il nero è un linguaggio, non una moda.

Il goth non è un travestimento, ma un respiro antico che da oltre quarant’anni vibra tra accordi, parole e immagini, e che ancora oggi chiede di essere compreso, non soltanto osservato.

Oggi chi riduce il goth a una tavolozza di eyeliner e stivali non fa che compiere un’appropriazione culturale: prende in prestito le ombre senza conoscere la luce che le genera. È facile vestirsi di nero, è molto più difficile comprenderne il peso simbolico.

Il Goth non è un filtro da applicare a un video né un costume da indossare a piacimento: è un linguaggio complesso, nato da suoni, immagini e pensieri che hanno attraversato decenni. Appropriarsene senza rispetto significa svuotarlo, renderlo sterile, ridurlo a cliché.

Chi ama davvero questa cultura non la indossa soltanto: la vive, la respira, la custodisce. E sa che dietro ogni ombra si cela un mondo intero, che non può essere consumato come un trend stagionale.



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