Ultimamente mi accorgo di una deriva che serpeggia tra i più giovani della scena (e non solo loro). C’è chi parla di “essere un vero Goth” come se esistesse una lista da spuntare: libri da aver letto, band da conoscere a memoria, abiti da indossare come divise. Una ragazza, in un gruppo, confessava di sentirsi “poco goth” perché alcuni aspetti che credeva indispensabili non le appartenevano, sopratutto le idee politiche.
Eppure, il goth non è un inventario da completare, né un passaporto da vidimare. È musica, è sensibilità, è uno stato d’animo che abita nelle sfumature dell’anima. Non può ridursi a una serie di prescrizioni arbitrarie.
Questa rigidità, purtroppo, non riguarda soltanto l’estetica. Sempre più spesso vedo i più giovani abbracciare ideologie estreme, che si tratti di nostalgie nere, rosse o del famigerato “woke”, come se una bandiera potesse definire l’oscurità. Ma le bandiere dividono, alzano muri, chiedono obbedienza. E ogni volta che una sottocultura si trasforma in terreno di scontro politico, perde la sua linfa vitale, diventando una caricatura del mainstream che finge di combattere. È vero che molte band sono socialmente e politicamente impegnate ma rimangono scelte personali che possiamo abbracciare o meno.
Il goth, nella sua essenza più pura, è apartitico, perché nasce come libertà individuale, come ribellione ai dogmi. È tolleranza e apertura, non giudizio e imposizione. Le tenebre non hanno tribunali, non chiedono tessere né giuramenti: accolgono chi vi si riconosce, chi sa ascoltare il silenzio e la musica che da sempre ne costituiscono il cuore.
Ricordiamolo: nessuno può possedere le tenebre. Esse non giudicano, non dividono. Sono rifugio e compagna di chi le abita con sincerità.
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