l Negli ultimi tempi la comunità Goth sembra vivere una nuova guerra: quella dell’abito. Da un lato chi proclama la purezza dello stile (solo vintage, solo handmade, solo mercatini, solo marche gotiche) e dall’altro chi, per necessità o per taglia, trova rifugio nel fast fashion. Come se il valore di un’identità si potesse misurare nel cartellino cucito dentro una giacca.
Molti dimenticano che non tutti i corpi trovano spazio nei mercatini o nei negozi indipendenti, e molte volte i brand dedicati hanno dei prezzi non proprio alla portata di tutti. Le taglie “conformate”, come le chiamano con ironica crudeltà, spesso sembrano nate per punire invece che vestire. Basta un po’ di curve, un po’ di seno, e ci si ritrova davanti a scaffali colmi di abiti goffi, dai colori agghiaccianti, come se l’eleganza fosse privilegio dei corpi esili. Chi ha forme generose o proporzioni non previste dagli standard si ritrova spesso a scegliere tra il nulla e la rassegnazione.
In certi casi, il fast fashion è l’unico luogo dove un corpo può ancora riconoscersi, dove un abito diventa un alleato invece che una condanna. Non è vanità: è dignità e nessuno dovrebbe chiedere scusa per averla. Che poi,secondo me, il problema sta in chi compra una marea di vestiti e capi da indossare tutti i mesi e non di chi una volta all'anno si concede un nuovo vestito della sua taglia.
C’è poi un aspetto che molti ignorano: il fast fashion non è confinato alle vetrine lucide dei centri commerciali o su certi siti internet che tutti noi conosciamo. Lo si ritrova anche tra i banchi dei mercati e nelle botteghe del second hand, dove finisce ciò che qualcuno ha comprato, indossato una volta e poi lasciato andare.
Molti dimenticano che la moda alternativa nasce proprio dalla mancanza: dall’arte del creare con ciò che si ha, dal trasformare l’ordinario in straordinario. Essere Goth non significa ostentare un’etichetta, ma abitare un’estetica che parla di libertà, di rifiuto delle regole imposte, di individualità profonda. L’abito, nel suo tessuto e nel suo colore, è soltanto il mezzo, non il messaggio.
In quei luoghi l’abito cambia destino: da simbolo di consumo a gesto di recupero. Acquistare fast fashion di seconda mano non è un peccato, ma un atto di riciclo poetico, una forma di rispetto verso ciò che altrimenti marcirebbe dimenticato. Ogni vestito, anche il più umile, può avere una seconda vita, una nuova voce.
E forse, in questo, c’è più spirito Goth di quanto molti vogliano ammettere.
Il nero, dopotutto, non giudica.
Non chiede da dove venga il tessuto che lo indossa, ma se chi lo porta ne comprende il linguaggio.
Essere Goth non è mai stato questione di prezzo o provenienza: è un atto d’anima.
E l’anima, quella vera, non conosce mode né stagioni.
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