mercoledì 24 giugno 2020

La famiglia Addams: una storia diabolica.


"Questo libro celebra la gioia di sentirsi bene al proprio posto anche quando sembriamo inspiegabilmente diversi e mettiamo gli altri a disagio".

Amo molto leggere, ho questa passione fin da piccola trasmessa da mio padre ed iniziata con una vecchissima edizione di "Silver Chief" di Jack O'Brien. Da quel momento ho iniziato a leggere di tutto: dai romanzi ai racconti brevi.
L'unico libro che, ahimè, non sono mai riuscita a finire mi era stato regalato quand'ero bambina e di cui non ricordo il titolo: un polpettone spaventoso di 500 pagine la cui protagonista, una scialbetta, aveva come unico scopo nella vita di cercare un marito e farsi farcire il prima possibile. La lettura ideale per una bambina, così mi era stato detto.
Potete immaginare la mia noia: non un colpo di scena, non un cadavere, nessun elemento horror o almeno l'ombra di una creatura sovrannaturale o il mistero di qualcosa d'inspiegabile, perché già da piccola amavo questo genere di letture. Per il resto i libri me li sono sempre scelti io: ne ho divorati a pacchi, presi dalla biblioteca o comprati ovunque. Quindi nella mia biblioteca non poteva mancare un libro sulla mia famiglia preferita: gli Addams.
Il libro si presenta in formato A4, brossurato con 225 pagine patinate. Elegante, forse un pò troppo scarno di informazioni sul creatore degli Addams, ma con molti spunti interessanti su i suoi personaggi, e molte curiosità sulla nascita del telefilm e le vignette, la parte più importante. Purtroppo i libri più interessanti su di lui come le sue biografie non sono state tradotte in italiano, e io non conosco così bene l'inglese da potermi permettere una lettura del genere.

Ma chi era Charles Addams?


Charles "Chas" Samuel Addams nacque il 7 gennaio del 1912 a Westfield in New Jersey. Nonostante il cognome leggermente cambiato, era imparentato alla lontana con i presidenti degli Stati Uniti John Adams e con John Quincy Adams ed era cugino di primo grado con la riformatrice Jane Addams, un lignaggio di tutto rispetto per il figlio di un dirigente di una fabbrica di pianoforti. Veniva descritto come una persona "con un senso dell'umorismo completamente diverso da quello degli altri", la gente lo trovava inquietante, quasi diabolico. In realtà nella biografia a lui dedicata , scritta da Linda Davids (Chas Addams: a cartoonist life) viene descritto come "un uomo cortese e ben vestito, con i capelli argentei pettinati all'indietro e dai modi gentili, senza alcuna somiglianza a un demonio".
Incoraggiato dal padre a disegnare, Charles inizia a disegnare fumetti per la rivista scolastica della Westfield High School per poi frequentare l'università. Curiosità: all'università della Pennsylvania l'edificio dedicato alle Belle Arti prende il suo nome e di fronte all'edificio sono posizionate le statue con le sagome dei personaggi della famiglia Addams. Esiste anche un murales dedicato a loro nella biblioteca di Penn State.
Charles inizia a lavorare per la rivista True Detective per poi finalmente veder pubblicate le sue strisce su The New Yorker il 6 febbraio del 1932 con cui collaborerà per tutta la vita.
Charles si sposò ben tre volte nella sua vita e tutte tre le volte con donne che gli ricordavano proprio Morticia.
Nel 1942 conoscerà la sua prima moglie, Barbara Jean Day, presubimilmente la donna che ispirò la creazione di Morticia Addams. Ma il matrimonio finì dopo otto anni quando Charles, non sopportando i bambini piccoli, alla richiesta di Barbara di adottarne uno, rifiutò.
Nel 1954 sposa la sua seconda moglie, Barbara Barb, un avvocato praticante, anche lei con un aspetto "diabolico" come amava definirla Chas. Con lei controllò la gestione del telefilm della famiglia Addams e riuscì anche a convincerlo a cedergli i diritti della serie. Lo convinse anche a stipulare una polizza sulla vita da 100.000 dollari, qui Charles consultò un avvocato di nascosto il quale gli disse che l'ultima volta che aveva sentito una cosa del genere era la trama del film "Doppia Identità dove la protagonista tramava di uccidere il marito per i soldi". La coppia divorziò nel 1956.
Più tardi Charles sposò la sua terza e ultima moglie, Marilyn Matthews Miller, il matrimonio venne celebrato in un cimitero per animali e andarono a vivere in Pennsylvania in una villa ribattezzata "La Palude".
Purtroppo Charles ci ha lasciato nel 1988 all'età di 76 anni dopo essere stato colpito da un infarto mentre era nella sua auto in un parcheggio. Trasportato d'urgenza in ospedale morì in pronto soccorso. Il suo corpo venne cremato e le sue ceneri seppellite nel cimitero per animali dove si era sposato.
La signora Addams è tutt'ora ancora in vita.
Se conoscete bene l'inglese, vi consiglio di cercare e leggere la sua biografia completa (che in "La famiglia Addams: una storia diabolica" viene appena accennata), scritta da Linda Davis e che potete trovare qui  oppure The World of Charles Addams  sempre in lingua inglese.




mercoledì 17 giugno 2020

La storia si ripete all'infinito


Ma specialmente era questo allora il più miserevole
e lacrimevole strazio: chi si vedeva abbrancato
dal male, come se fosse già condannato a morte,
stava lì mesto nel cuore e scoraggiato nell'animo;
lasciava lì, tutto assorto nel funerale, la vita.
Dato che si propagava senza un istante di tregua
dagli uni agli altri il contagio dell'insaziabile male,
come se fosse fra pecore lanute o bestie cornute.
E questo moltiplicava, con la moria, la moria.
Quanti scansavan d'assistere i loro cari, ed amavano
troppo la vita, e temevano troppo la morte, costoro
lasciati lì, senza aiuto, poco di poi li abbatteva
e li puniva l'incuria di mala morte e schifosa.
Ma via contagio e strapazzi portavan chi li affrontava
mosso dal punto d'onore e dalla voce implorante
dei moribondi, dai gemiti ch'erano misti alla voce:
subivan dunque una morte di tale specie i migliori.
(De rerum natura, libro sesto, Lucrezio)

Rinchiusi in casa come novelli protagonisti del Decamerone, abbiamo avuto la sfortuna di provare sulla nostra candida pelle cosa significa una quarantena per pandemia. Non starò qui a disquisire se questa emergenza sanitaria sia stata gestita o meno nella maniera più ottimale, quanto questo Covid 19 sia stato pericoloso e quale tragedia abbia rappresentato in perdita di vite umane. L'uomo è un animale dalla memoria corta (ed i fatti recenti lo confermano): dobbiamo ricordarci che questa non è la prima pandemia che l'umanità affronta. 
Solitamente ci si ricorda, e di solito anche in maniera piuttosto superficiale, della peste del medioevo e della più recente febbre spagnola ma in realtà le prime epidemie gravi che portarono alla morte migliaia di persone furono molto più antiche.
La prima pandemia di cui abbiamo notizie è quella che colpì Atene attorno al 430 a.c. e si stima che uccise da un terzo a due terzi della popolazione in quel periodo. Lucrezio (autore del De rerum natura) la descrisse come "un morbo e flusso mortifero che sparse i campi di cadaveri, devastò le strade e vuotò la città di abitanti". Anche Tucidide ne parla nella sua "Guerra nel Peloponneso" descrivendola dettagliatamente. In realtà sappiamo che circolava già una pestilenza in altri luoghi ma mai così mortale come quella che colpì Atene.
Ancora oggi sono aperte le ipotesi per cosa si potesse trattare, molto probabilmente fu peste bubbonica ma i sintomi descritti dai due storici dell'epoca rimandano anche al vaiolo, al tifo e al morbillo. Non lo sapremo mai con certezza. La gente veniva seppellita in fosse comuni, le città si svuotavano e nei templi venivano ammassati i corpi mentre ovunque regnava il caos. La peste di Atene si ripresentò due volte: nel 429 a.c. e nell'inverno del 427/426 a.c. mettendo la città in ginocchio. Vi consiglio di leggere "Guerra nel Peloponneso" di Tucidide o il sesto libro "De rerum natura" di Lucrezio per saperne di più.

Nel 541/542 d.c. la peste allungò le sue dita adunche sull'Impero Bizantino, sopratutto sulla sua capitale: Costantinopoli. La "Peste (o il morbo) di Giustiniano" colpì il 40% della popolazione della capitale, facendo ammalare l'imperatore stesso. Giustiniano sopravvisse ma perse quattro milioni di persone in tutto il suo impero. Il ceppo della malattia è lo stesso della peste che più avanti colpirà l'Europa nel medioevo e fu devastante, lasciando persino Roma quasi completamente priva dei suoi abitanti. Non c'erano posti dove seppellire i cadaveri e la maggior parte di essi rimanevano per strada e gli ammalati venivano abbandonati. Crollò l'economia dell'Impero e la peste mise fine alla civiltà antica.
Procopio, storico bizantino dell'epoca, ne parla ampiamente nei suoi scritti. La Peste di Giustiniano permise agli Ostrogoti di invadere la penisola italica durante la Guerra Gotica (535-553 d.c.) e anche se fu vinta dai bizantini, per via della peste non riuscirono a riprendere il controllo di tutti i loro territori, proprio perché non era rimasto quasi nessuno vivo.


«Le campane non suonavano più e nessuno piangeva. L'unica cosa che si faceva era aspettare la morte, chi, ormai pazzo, guardando fisso nel vuoto, chi sgranando il rosario, altri abbandonandosi ai vizi peggiori. Molti dicevano: "È la fine del mondo!".»

La Peste Nera tornò in tutto il suo oscuro splendore nel 1346 in Europa, spandendo il suo regno di orrore in Italia nel 1348. I ratti, portatori delle pulci infette del Yersinia Pestis, infettarono e portarono alla morte un terzo della popolazione Europea, rendendola la pandemia più letale in assoluto. Boccaccio la descrive nel suo Decamerone mai chiamandola con il suo nome, quasi per paura di evocarla ma restituendocene un immagine molto accurata. 
La Peste Nera non colpì tutta l'Europa con la stessa violenza, alcune zone della Polonia, del Belgio e Praga furono risparmiate. Milano ebbe solo 15.000 morti su una popolazione di 100.000 persone, invece a Venezia morì il 60% dei cittadini mentre in altri luoghi dell'Europa la malattia non risparmiò nessuno. 
Proprio a causa della Peste Nera nacque l'idea di regolamentare i movimenti di merci e persone e di istituire la Quarantena, in modo da poter identificare e isolare i malati tentando di dare una tregua alla popolazione.
La peste tornò nel 1630 in Italia devastando il settentrione, il Ducato di Milano perse all'incirca un milione di persone mentre Alessandro Manzoni la rese famosa nel suo "I Promessi Sposi", dove descrive l'inizio della pandemia che si diffonderà poi fino al Granducato di Toscana. La malattia prese il sopravvento esattamente come le altre pandemie: guerre, siccità e altre devastazioni portarono le persone che vivevano in campagna a riversarsi nelle grandi città dove la sovrappopolazione, la scarsa igiene e la malnutrizione fecero in modo che la peste prese il sopravvento. Con un tasso di letalità del 60% e una durata dai tre ai nove mesi la peste nera si portò via venti milioni di persone.
Infermiere inglesi durante la febbre spagnola (foto ricolorata)


Tra il 1918 e il 1920 si diffuse in tutto il mondo la Febbre Spagnola o Grande Influenza, una pandemia insolitamente mortale che, a differenza delle altre malattie che colpiscono e uccidono prevalentemente anziani e persone già malate, colpì prevalentemente giovani e adulti sani provocando il decesso di 50 milioni di persone su una popolazione mondiale di circa due miliardi. A differenza della peste (causato da un batterio), l'influenza spagnola è un virus del ceppo H1N1 insolitamente aggressivo anche se al giorno d'oggi sappiamo che non era poi così virulento come si ipotizzava all'inizio. Più del virus sono state le circostanze a renderlo così pericoloso: la guerra, la malnutrizione, la scarsa igiene e gli ospedali sovraffollati contribuirono alla sua diffusione. Prese il nome di spagnola perché fu proprio la Spagna a diffonderne la notizia non essendo i suoi giornali sotto la censura di guerra mentre nei paesi belligeranti la rapida diffusione della malattia fu nascosta ed al massimo se ne parlò come di una epidemia circoscritta al paese iberico.
Dati specifici della malattia non ci sono, in quell'epoca la raccolta dati e informazioni sulla malattia sono incoerenti e di dubbia validità, al fronte molti malati morirono non solo per l'influenza ma si sospetta che come concausa della morte ci fosse un avvelenamento da aspirina che causa un'edema polmonare. Gli antibiotici non erano ancora stati inventati e le malattie polmonari come polmoniti e tubercolosi non venivano distinte dalla febbre spagnola. In Italia si stima che i morti furono 600.000 su quasi 40 milioni di abitanti, all'incirca il 1,5% della popolazione.
Non si hanno date certe nemmeno sulla fine della pandemia, che sembra essersi esaurito attorno al dicembre del 1920, si teorizza per le cure che i medici riuscirono ad attuare per curare la polmonite che sviluppavano i malati dopo aver contratto il virus, altri ipotesi è che il virus abbia mutato perdendo la letalità che aveva poiché gli ospiti dei ceppi patogeni più pericolosi tendono ad estinguersi.

Studiando la storia e i testi di chi all'epoca descriveva le pandemie nei suoi racconti ci rendiamo conto che la storia dell'umanità è sempre stata costellata da eventi catastrofici, guerre e malattie, in cui la miseria umana ha dato il meglio o il peggio di sè. Le tragedie umane hanno sempre ispirato poeti e scrittori, quindi  vi lascio un Link dove potete trovare romanzi, classici e non, di chiara ispirazione pandemica.